Spesso il lupo è percepito come un problema per il quale esiste una sola soluzione pratica: l’eliminazione (ovvero applicare metodi letali che prevedono la rimozione o meglio l’uccisione degli individui). Il ragionamento ha una sua logica: se un lupo mi uccide le pecore, io elimino il lupo e risolvo la questione.

Mettiamo da parte gli aspetti etici (diritti degli animali e impopolarità dei metodi letali) o legali (il lupo in Italia è una specie protetta e tutelata), e affrontiamo la questione da punto di vista scientifico (ci sono prove certe dell’efficacia di questi metodi?) e pratico (i danni diminuiranno?). Pertanto, le domande da porsi sono: esistono delle prove “scientifiche” (ovvero certe) che i metodi letali risolvono i conflitti? Posso dormire tranquillo (ovvero le mie pecore sono sicure) dopo che un lupo è stato ucciso? Nessun specialista è in grado di rispondere con certezza, e la cosa che dovrebbe sollevare più preoccupazioni e che i risultati di molti studi sono contrastanti: in certe situazioni le predazioni sono diminuite e in altre addirittura aumentate (5 studi su sette).

Nessuno può negare che nei primi tempi dopo l’eliminazione, i danni potrebbero diminuire (sempre che si siano eliminati i lupi realmente responsabili dei danni), ma la distruzione dell’organizzazione sociale di un branco, crea territori vacanti che alla fine saranno occupati da nuovi potenziali predatori (cani, lupi, etc.) o indurre i lupi rimasti isolati a rivolgere maggiore attenzione alle prede più facili da cacciare, quelle domestiche.

Al contrario, gli studi sui metodi di protezione (cani da protezione, recinzioni ecc.) sono concordi nel confermare la loro efficacia per ridurre i danni; quelli che producono risultati contrastanti sono riconducibili a un uso non corretto dei sistemi di protezione (cani da protezione non ben cresciuti o in numero insufficiente, scarsa manutenzione delle recinzioni, errori tecnici, etc.).

Supponiamo che si decida di rischiare, oltre al fatto che è possibile che il problema non si risolva e che si aggravi, esistono altri effetti negativi a ricaduta che potrebbero mettere in crisi questa scelta? Un predatore, non è un’entità isolata, ma vive in un sistema (o meglio quello che si definisce un ecosistema) in cui la sua esistenza è vincolata da quella delle prede (cervi, caprioli, etc.) che a sua volta è vincolata da quello che offre loro l’ambiente in termini di cibo (praterie, boschi, etc.). Interrompere questa catena, vuol dire alterare degli equilibri: aumento degli erbivori (cervi, caprioli, cinghiali, etc.), perdita di qualità dei pascoli e rischio di aumento di danni a colture.

Quello che è evidente, in presenza o assenza di metodi letali, è che l’adozione dei sistemi protezione (soprattutto se sostenuta da incentivi economici) è, ad oggi, l’unico scenario che possa garantire una maggiore efficacia (e ritorno economico) nel breve e lungo termine, oltre che essere legale e generare consenso sociale.

Per saperne di più vedere la sezione “Riferimenti utili” ed in particolare le sezioni “Per saperne di più” e “Pubblicazioni” (Miti e Leggende: Lupi, consistenza numerica e controllo).

Miti e leggende